giovedì 12 settembre 2013

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Eastern Electrics 2013 - Diary


100 dei migliori artisti del pianeta, 42 ore di musica, 3 giorni, 2 notti, migliaia di electronic music monkeys, il countryside inglese e… boom!  Eastern Electrics versione 2013. 
A King’s Cross adocchiamo due o tre gruppetti di ragazzi che ci faranno compagnia nei 20 minuti di treno che ci separano dalla città a  Knebworth Park. Sul treno le dita si incrociano convulsamente in un crescendo d'ansia dopo aver visto nuvole minacciose che si “accoppiano” sopra le nostre teste. Una volta scesi, i clubber si confondono con i locali, per poi ritrovarsi di nuovo tutti insieme ai cancelli d'ingresso. 
L’atmosfera è serena e spensierata, come se stessimo andando al parco a rilassarci piuttosto che ad uno dei più vibranti music festival dell’anno. 
Le nuvole tuttavia non ci hanno abbandonati. Nella nostra euforia, un lampo, ed è il diluvio universale. Numerosi scrosci di acquazzone dopo ci ritroviamo fra le sterminate transenne del festival, tra segnaletiche che avvertono quali siano le pasticche letali, omini in giacca gialla ovunque (organizzazione impeccabile)e finalmente intravvediamo l’entrata al Paese dei Balocchi.

L'area dedicata a questo Festival è impressionante. Il camping site è al completo, affollato da alcune migliaia di tende farcite di persone. A campeggiare sullo sfondo, 2 tendoni da circo che fungono da main stage, Eastern Electric Arena e Substation, più altri 4 più piccoli di cui uno, Switchyard Stage, sembra uno spaccato del porto di Rotterdam ricavato da container. 
Ed ancora giostre, bancarelle, l’Electric City e decine di punti di ristoro.


Di primo acchito, lo spazio ci sembra fin troppo "immenso" per le reali esigenze, quasi del tutto impossibile da riempire. 
Cazzata.
Se si fosse potuto fare un bel fast forward stile documentario di Piero Angela, avremmo visto come la location fosse in realtà perfetta per accogliere le migliaia di persone che da lì a poco avrebbero invaso l'area come formiche impazzite, concentrandosi negli stage, spostandosi frenetiche per poi disperdersi nella landa. 
D’altronde Knebworth Park ha una ricca tradizione di main event alle spalle, avendo  ospitando importanti eventi musicali dal 1974 ad oggi fra cui Led Zeppelin, The Rolling Stones, Jamiroquai, Metallica, Iron Maiden.  
Una Woodstock inglese al 100%, per la serie se gli alberi potessero parlare quante cose potrebbero dire…

Muovendo i primi passi tra gli stand, gli occhi ci iniziano a brillare, l'impazienza sale, vogliamo vedere tutto, sentire tutti. In un crescendo di fame musicale, inizia ufficialmente il nostro Festival.

Per incominciare ci dirigiamo verso lo Switchyard, dove troviamo Heidi intenta ad animare una folla che incurante del fango e della pioggia sgambetta ridente. Set animato e vitale che calza a pennello con la situazione. 
Guardandoci intorno, ci stupiamo nell'osservare come il pubblico, in realtà, fosse già preparato preparato ad ogni cambiamento climatico improvviso. Ci troviamo così a ballare spalla a spalla con ragazze calzanti stivali di gomma e jeans “giro-passera”, ragazzi in k-way scalzi nella fanghiglia e tutti, chiaramente, con gli immancabili occhiali da sole whatever the weather!


Un salto merita l’Electric City: qui gli indigeni del luogo sono fanciulle vestite in burlesque gotici, donne su trampolini, giocolieri. Ci si può far dipingere il viso, comprare copricapi indiani o vestiti pittoreschi. Il tutto in questo labirinto di pallet, che la sera si trasforma in un gioco di luci colorate sfumate solo dalla notte e dai fumogeni sparsi qua è là. Magico. Punto di relax ideale fra un dj set e l’altro.



Da lì ci spostiamo all’Igloovision, uno stage che somiglia ad un piccolo 3D-max poiché con i primi bui serali le pareti interne si animeranno di grafiche digitali incantevoli. 
Per rendere meglio l'idea, immaginatevi le electric monkeys lì dentro, in un mix costante di musica, immagini e flash nello stile delirante di “Paura e delirio a Las Vegas”
In questa location incredibile assistiamo al cambio di consolle fra ATA e i Clockwork che come al solito non deludono mai. Set forte, sostenuto e dritto, che non fa mai male.


Riprendiamo la nostra esplorazione solcando il prato che ci divide dal main stage, affollato da gruppetti di ragazzi distesi a godersi il timido sole, che finalmente ha preso il posto delle nuvole.
 Nell’Electric Arena sta suonando Dyed Soundorom, uno degli artisti più attesi del pomeriggio, che con  il suo inconfondibile groove francese,  si discosta sensibilmente dalla cassa dritta appena lasciata. Di fronte a lui, un vero e proprio mare festante di persone con le mani al cielo. Il clima è splendido e seppur lo stage sia incredibilmente affollato, la vivibilità è altissima, riuscendo a respirare e a muoversi senza alcuna difficoltà.  


Dopo un paio di foto e quattro chiacchiere con alcuni tizi che blaterano un qualcosa in un inglese che comincia a farsi incomprensibile, decidiamo di fare un primo pit-stop mangereccio. La scelta è più che varia, ma la pancia esulta quando ingurgitiamo tacos con carne e fagioli messicani, con topping di salse sconosciute ma pazzescamente buone. 
Un po’ di relax sotto il sole e si riparte.



Altra corsa, altro giro signori e signore. 
E’ il turno di Maceo Plex che manco a dirlo butta giù tutto. Si salta come ai concerti live, tutti sorridono e lui è maestoso nel suo set techincolor, le mani si alzano e si fatica a stare fermi.  Si continua così per un’ora e mezza, senza mollare neanche un attimo.
 Il cambio in consolle nello stage ci dà il tempo di far tappa negli altri stage per curiosare un po'. 
Alle 19 è iniziata la Boiler Room proprio di fianco all’Electric City, con uno stage completamene dedicato: a farla da padrone, tentando di trasmettere via web l'atmosfera del festival, si susseguono Roman Flugel, Anja Schneider e Jozif.








Alle 21 il clou delle danze. 
Hot Natured Show, appositamente proposto per il lancio del loro album debutto il prossimo mese. Tenendo fede al nome, si tratta di un vero e proprio show. Le luci e i laser degni di un concerto di Madonna, l'euforia crescente al limite dell'esplosione e l'autentico suono dell'etichetta inglese rompono in maniera chiara rispetto ai set pomeridiani, annunciando a fiato di tromba che la vera festa sta solo incominciando ora. Ai comandi delle operazioni, Jamie Jones, Lee Foss, Luca C & Ali Love accompagnati dalla cantante di Los Angeles Anabel Englund, una gnocca bionda che si esibisce dominando il palco. Operazione riuscita, un successo strepitoso, anche se a noi è sembrato tutto troppo “glitterato”. 
Nuovo cambio di stage e i toni cambiano totalmente per l’ennesima volta con Kristian Beyer e Ame. Suoni che fanno esultare le folle e noi con loro. Fantastico, Innervision never fails.


 La stanchezza inizia a farsi sentire, secondo pit-stop e ancora in giro direzione Igloovision, dove sta suonando Luke Slater, ma le la sua techno incalzante non si sposa adeguatamente con il posto invivibile in cui è costretto a suonare. 
Questo ci fa optare per il Substation stage dove si stanno esibendo gli Infinity Ink seguiti da Subb-an
Pochi dischi ed arriva il momento di essere un pochino patriottici: 
andiamo a sentire i Tale of Us nel main stage, i quali propongono il loro nuovo sound, molto più duro e pragmatico, spianando la strada all’atteso Richie Hatwin e il suo solito sound riconoscibilissimo. 
A chiusura dell'intensa giornata, ci godiamo Damian Lazarus che apre per noi le porte dell’inferno mandandoci tutti a letto a mattina ormai inoltrata. 


Che dire, darei un bel 9 a tutto il festival per organizzazione, eventi, 
spazi previsti e dj proposti.  
Molto stancante, ma merita sicuramente. 

See you next year!


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