Negli
ultimi anni alcuni scossoni hanno attraversato il mondo della
dubstep.
Alcuni
massimi esponenti del genere hanno iniziato ad "abbandonare"
in maniera palese la nave mediatica da tempo alla deriva, per
iniziare a guardare con profondo interesse altri generi.
Principali
indiziati, citofonare Scuba ed il dirimpettaio Skream.
Andiamo
con ordine.
Paul
Rose AKA Scuba iniziò a dare i primi segnali di un
possibile/probabile cambiamento di genere già nel suo
Triangulation, suo ultimo vero album dubstep che presentava frequenti
rimandi all'universo techno, da cui il produttore in realtà
arrivava.
Il
vero punto di svolta fu Adrenalin EP. Due tracce su tre house.
Personality
LP è semplicemente la normale conclusione del percorso: tech house,
della dubstep che l'aveva reso celebre neppure l'ombra.
Dai
puristi le accuse di essersi venduto, di avere scelto la via più
facile, di avere fatto una scelta commerciale e non artistica.
Vero,
non vero? Ma soprattutto, importa?
Passiamo
a Skream.
Il
londinese Oliver Dene Jones, come ha letteralmente urlato al pubblico
durante un suo set al Brancaleone di Roma nell'ottobre scorso, fa
dubstep da quando ha 16 anni, sia da solo, sia con gli altri uomini
Magnetici Benga ed Artwork.
Adesso,
a 26, inizia a guardare con sempre maggiore interesse mondi
inesplorati, almeno a livello produttivo come l'house,
preferibilmente acid.
L'ultimo
ep, il settimo, della fortunata serie Skreamizm ha ricevuto
nettamente più critiche che elogi ed il motivo è semplice: è la
via di mezzo che scontenta tutti.
La
dubstep c'è. Ed è la più ombelicale e coerente a se stessa, un
neanche troppo nascosto auto plagio delle sue ultime produzioni come
Exotermic Reaction.
Ma
attenzione, c'è anche l'house.
Trinki,
traccia che tutti si aspettavano e rappresenta lo sdoganamento del
genere anche per il ventiseienne.
Le
reazioni dei fans a queste vicende? Pessime, as usual.
Ancora,
Skream nell'autunno scorso ha cinguettato più volte su twitter
messaggi del tipo: "Dubstep primo amore, non la abbandonerò
mai" e via dicendo, a placare le ire funeste di orde di puristi
che non gli avevano perdonato lo sgarro "alla madre".
A
parte le valutazioni sui singoli casi, che non mi competono né
tantomeno mi interessano, considerando ognuno libero di dire,
scrivere e pensare ciò che crede, senza bisogno di giudizi vari,
vorrei soffermarmi su un profilo che in vicende come queste troppo
spesso viene del tutto trascurato, ossia la libertà di scelta nel
panorama musicale.
Ogni
produttore dovrebbe sentirsi libero di scegliere, inspirarsi,
campionare, rilasciare sul mercato ciò che crede esprimendo a pieno
la propria libertà artistica.
Questo
probabilmente accade per un 30% del mercato.
Il
restante ovviamente è influenzato di decine di altri fattori, ma il
principale resta sempre e soltanto quello, senza troppi giri di
parole né peli sulla lingua: €/$.
Viene
quindi effettuata una scelta, giusta o sbagliata che sia.
E
a fronte di una simile libertà, sinceramente fatico a comprendere le
lamentele degli appassionati, sulla base di un non meglio precisato
dovere di fedeltà degli artisti ad un unico genere.
La
musica, almeno da parte degli ascoltatori, deve rimanere una
passione.
E
nel pieno esercizio della propria posizione, l'ascoltatore non ha
alcun diritto di pretendere un determinato prodotto musicale da un
produttore, per due ordini di ragioni profondamente distint
-
non sottostare lui per primo alla logica della musica quale prodotto,
perché essendo una forma di espressione artistica deve essere prima
di tutto libera.
-
l'ascoltatore, non avendo alcun vincolo con un artista, un
produttore, un genere e via dicendo, ha il diritto ma soprattutto il
dovere morale di scegliere cosa più gli piace.
E
nell'esercizio di questo potere di scelta, esiste anche quella di non
seguire un artista che cambia produzioni.
Tornando
alla materialità dei casi di Scuba e Skream, le scuse dei produttori
per le loro nuove esperienze, le richieste di comprensione, le
lamentele e tutto il teatrino mediatico non fanno altro che svilire
ancor di più l'unica cosa importante di tutta la vicenda: la musica.
La
musica è arte, e come tale deve restare. Ogni appassionato nel
rispetto di questa espressione ha il dovere di scegliere cosa
seguire, chi seguire, come e quando.
E'
deprimente ed umiliante di vedere la musica ridotta a mero prodotto
di mercato.
Ma
è ancora più deprimenti vedere gli appassionati perfettamente
calati in questo retaggio, privati per scelte altrui della
possibilità/capacità di scegliere, ridotti a beceri consumatori di
un prodotto che dovrebbe essere sempre assolutamente fedele a se
stesso.
Se
qualcosa non vi piace, non lamentatevi, cambiatelo.
Cesare Durazzo
(Twice - SRSLY)
0 commenti:
Posta un commento