100 dei migliori artisti del
pianeta, 42 ore di musica, 3 giorni, 2 notti, migliaia di electronic music monkeys, il countryside inglese e… boom! Eastern
Electrics versione 2013.
A King’s Cross adocchiamo due o
tre gruppetti di ragazzi che ci faranno compagnia nei 20 minuti di treno che ci separano
dalla città a Knebworth Park. Sul treno
le dita si incrociano convulsamente in un crescendo d'ansia dopo aver visto nuvole minacciose che si
“accoppiano” sopra le nostre teste. Una volta scesi, i clubber si confondono con i locali, per poi ritrovarsi di nuovo tutti insieme ai cancelli d'ingresso.
L’atmosfera è serena e
spensierata, come se stessimo andando al parco a
rilassarci piuttosto che ad uno dei più vibranti music festival dell’anno.
Le nuvole tuttavia non ci hanno abbandonati. Nella nostra euforia, un lampo, ed è il diluvio universale. Numerosi scrosci di acquazzone dopo ci
ritroviamo fra le sterminate transenne del festival, tra segnaletiche che
avvertono quali siano le pasticche letali, omini in giacca gialla ovunque
(organizzazione impeccabile)e finalmente intravvediamo l’entrata al Paese dei
Balocchi.
L'area dedicata a questo Festival è impressionante. Il camping site è al completo, affollato da alcune migliaia di tende
farcite di persone. A campeggiare sullo sfondo, 2 tendoni da circo che fungono da main stage, Eastern Electric Arena
e Substation, più altri 4 più piccoli di cui uno, Switchyard Stage, sembra uno
spaccato del porto di Rotterdam ricavato da container.
Ed ancora giostre, bancarelle,
l’Electric City e decine di punti di ristoro.
Di primo acchito, lo spazio ci sembra fin troppo "immenso" per le reali esigenze, quasi del tutto impossibile da riempire.
Cazzata.
Se si fosse potuto fare un bel fast forward stile documentario di Piero
Angela, avremmo visto come la
location fosse in realtà perfetta per accogliere le migliaia di persone che da lì a poco avrebbero invaso l'area come
formiche impazzite, concentrandosi negli stage, spostandosi frenetiche per poi disperdersi nella landa.
D’altronde Knebworth Park ha una ricca tradizione di main event alle spalle, avendo ospitando importanti eventi musicali dal 1974 ad oggi fra cui Led Zeppelin, The
Rolling Stones, Jamiroquai, Metallica, Iron Maiden.
Una Woodstock inglese al
100%, per la serie se gli alberi potessero parlare quante cose potrebbero dire…
Muovendo i primi passi tra gli stand, gli occhi ci iniziano a brillare, l'impazienza sale, vogliamo vedere tutto, sentire tutti. In un crescendo di fame musicale, inizia ufficialmente il nostro Festival.
Per incominciare ci dirigiamo verso lo Switchyard, dove troviamo Heidi intenta ad animare una folla che incurante del fango e della
pioggia sgambetta ridente. Set animato e vitale che calza a pennello con la situazione.
Guardandoci intorno, ci stupiamo nell'osservare come il pubblico, in realtà, fosse già preparato preparato ad ogni cambiamento climatico improvviso. Ci troviamo così a ballare spalla a spalla con ragazze calzanti stivali di gomma e jeans “giro-passera”, ragazzi in k-way scalzi
nella fanghiglia e tutti, chiaramente, con gli immancabili occhiali da sole whatever the weather!
Un salto merita l’Electric City:
qui gli indigeni del luogo sono fanciulle vestite in burlesque gotici, donne su
trampolini, giocolieri. Ci si può far dipingere il viso, comprare
copricapi indiani o vestiti pittoreschi. Il tutto in questo
labirinto di pallet, che la sera si trasforma in un gioco di luci colorate
sfumate solo dalla notte e dai fumogeni sparsi qua è là. Magico. Punto di relax
ideale fra un dj set e l’altro.
Da lì ci spostiamo
all’Igloovision, uno stage che somiglia ad un piccolo 3D-max poiché con i primi bui serali le pareti interne si animeranno di grafiche digitali incantevoli.
Per rendere meglio l'idea, immaginatevi le electric monkeys lì dentro, in un mix costante di musica, immagini e flash
nello stile delirante di “Paura e delirio a Las Vegas”.
In questa location incredibile assistiamo al cambio di consolle
fra ATA e i Clockwork che come al solito non deludono mai. Set forte, sostenuto e dritto, che non fa mai male.
Riprendiamo la nostra esplorazione solcando il prato
che ci divide dal main stage, affollato da gruppetti di ragazzi distesi a godersi il timido sole, che finalmente ha preso il posto delle nuvole.
Nell’Electric Arena sta suonando Dyed
Soundorom, uno degli artisti più attesi del pomeriggio, che con il suo inconfondibile groove
francese, si discosta sensibilmente dalla cassa dritta appena lasciata. Di fronte a lui, un vero e proprio mare festante di persone con le mani al cielo. Il clima è splendido e seppur lo stage sia incredibilmente affollato, la vivibilità è altissima, riuscendo a respirare e a muoversi senza alcuna difficoltà.
Dopo un paio di foto e quattro chiacchiere con alcuni tizi che blaterano un qualcosa in un inglese che comincia a
farsi incomprensibile, decidiamo di fare un primo pit-stop mangereccio. La scelta è più che
varia, ma la pancia esulta quando ingurgitiamo tacos con carne e fagioli
messicani, con topping di salse sconosciute ma pazzescamente buone.
Un po’ di
relax sotto il sole e si riparte.
Altra corsa, altro giro signori e
signore.
E’ il turno di Maceo Plex che manco a dirlo butta giù tutto. Si salta
come ai concerti live, tutti sorridono e lui è maestoso nel suo set
techincolor, le mani si alzano e si fatica a stare fermi. Si continua così per
un’ora e mezza, senza mollare neanche un attimo.
Il cambio in consolle nello stage ci dà il
tempo di far tappa negli altri stage per curiosare un po'.
Alle 19 è iniziata la Boiler
Room proprio di fianco all’Electric City, con uno stage completamene dedicato: a farla da padrone, tentando di trasmettere via web l'atmosfera del festival, si susseguono Roman Flugel, Anja
Schneider e Jozif.
Alle 21 il clou delle danze.
Hot
Natured Show, appositamente proposto per il lancio del loro album debutto il prossimo mese. Tenendo fede al nome, si tratta di un vero e proprio show. Le luci e i laser degni di un concerto di Madonna, l'euforia crescente al limite dell'esplosione e l'autentico suono dell'etichetta inglese rompono in maniera chiara rispetto ai set pomeridiani, annunciando a fiato di tromba che la vera festa sta solo
incominciando ora. Ai comandi delle operazioni, Jamie Jones, Lee Foss, Luca C & Ali Love accompagnati
dalla cantante di Los Angeles Anabel Englund, una gnocca bionda che si esibisce dominando il palco. Operazione riuscita, un successo strepitoso, anche se a noi è sembrato
tutto troppo “glitterato”.
Nuovo cambio di stage e i toni cambiano
totalmente per l’ennesima volta con Kristian Beyer e Ame. Suoni che
fanno esultare le folle e noi con loro. Fantastico, Innervision never fails.
La stanchezza inizia a farsi
sentire, secondo pit-stop e ancora in giro direzione Igloovision, dove sta suonando Luke Slater, ma le la sua techno incalzante non si sposa adeguatamente con il posto invivibile in cui è costretto a suonare.
Questo ci fa optare per il Substation stage dove si stanno esibendo gli
Infinity Ink seguiti da Subb-an.
Pochi dischi ed arriva il momento di
essere un pochino patriottici:
andiamo a sentire i Tale of Us nel main stage, i quali propongono il loro nuovo sound, molto più duro e pragmatico, spianando la strada all’atteso Richie Hatwin e il
suo solito sound riconoscibilissimo.
A chiusura dell'intensa giornata, ci godiamo Damian Lazarus che apre per noi le porte dell’inferno mandandoci tutti a letto a mattina ormai inoltrata.
Che dire, darei un bel 9 a tutto
il festival per organizzazione, eventi,
spazi previsti e dj proposti.
Molto stancante,
ma merita sicuramente.
See you next year!